Indice · Introduzione · Il sonetto di corrispondenza · La tenzone: incontro-scontro fra poeti · La "lettera aperta" della Vita nova di Dante · Cavalcanti, Maiano, D’Annunzio: i corrispondenti di Dante Articoli
Letteratura
Dante Alighieri

Vita nova di Dante: il primo saluto di Beatrice e il sogno del ‘cuore mangiato’

Il sonetto come epistola nel Medioevo letterario

In tempi in cui tecnologia e forze maggiori allungano le distanze e restringono i tempi di contatto, i più curiosi si saranno forse interrogati su quali fossero le modalità e le dinamiche di comunicazione proprie del passato. Sorprenderà sapere, a dispetto delle convinzioni comuni, che la lettera missiva in prosa era affiancata dall’epistola in versi, nella cui forma, specie in epoca medievale, dominava l’uso del sonetto.

Caravaggio, San Girolamo scrivente

Il sonetto di corrispondenza

La natura polimorfica e la tendenza alla dialogicità del sonetto ne hanno da sempre reso la struttura formale adatta agli impieghi più disparati, sia nei termini del contenuto (in quanto spazia dall’amore alla satira, dalla politica alla morale) che della funzione: si ritrovano sonetti concepiti come stanze di canzone, come capitoli di un poema, o ancora in qualità di strumento di corrispondenza tra più parti.

A tal proposito, è la brevità di questo genere metrico ad alimentarne il potenziale aggregativo e quindi ‘sociale’: il ridotto giro di versi, dalla misura sempre uguale e dal profilo rimico ben definito, garantisce infatti la possibilità di inanellare i sonetti fra loro, creando solide catene. Nascono così, ad esempio, le cosiddette ‘corone’ o ‘collane’, serie di sonetti in numero variabile (solitamente quattordici) di riflessione individuale o in forma di dialogo.

💡 Lo sapevi? Il poeta trecentesco Antonio Pucci offre eloquenti esempi per il primo e per il secondo caso: L’arte del dire in rima è una corona di dodici sonetti in cui formula un vero e proprio prontuario metrico-retorico in versi; la Corona del messaggio d’amore è, invece, una collana di diciannove sonetti nei quali si intreccia un dialogo a distanza tra il poeta e la donna amata.

Ma se quest’ultime sono sempre frutto di creazione individuale, ben più vivace è la dinamica dei sonetti epistolari. Tanto poeti dilettanti quanto i più grandi lirici medievali hanno comunicato le personali quotidianità o proferito elogi attraverso quattordici versi, rivolgendosi a un solo corrispondente (sonetto monovalente) o a più destinatari (sonetto a valenza plurima).

La tenzone : incontro-scontro fra poeti

Quando alla prima risposta seguiva una replica, scattava il singolare meccanismo della tenzone. Di origine provenzale, la tensó consisteva nello scambio di strofe e soprattutto di poesie intere fra due o più poeti su un argomento indicato nella proposta del mittente, in relazione al quale si andava o a condensare una dotta riflessione teoretica dai tratti poetici o filosofici, oppure si sfociava in violente schermaglie cariche di insulti e accuse (talvolta frutto di reale acredine fra le parti, ma perlopiù dovute alla convenzionalità del contesto che spesso rendeva l’ostilità in veste di gioco).

Alla pari dei temi della discussione, anche l’andamento dei testi appare più prossimo alla prosa che alla poesia, sia dal punto di vista lessicale (prevale un registro medio e non ricercato) sia sintattico (proposizioni e versi non coincidono più secondo la norma). A riportarli nell’ambito della versificazione è la rima, in virtù dell’importantissimo ruolo di ‘collante’ fra le risposte da essa svolto: il modus operandi della tenzone impone infatti che il destinatario risponda ‘per le rime’, ossia riprendendo il medesimo schema ritmico e le stesse rime utilizzate dal mittente-proponitore.

💡 Lo sapevi? Nel caso della tenzone ‘comica’, la ripresa delle rime del mittente diviene spesso una norma violata dal destinatario il quale, alfine di rincarare l’offensiva, ne propone delle altre completamente diverse, evitando così ogni punto d’incontro con l’interlocutore e sottolineandone piuttosto il contrasto.

Gli esempi più significativi di tenzone poetica si identificano nei sei sonetti che Giacomo da Lentini e l’Abate di Tivoli si scambiarono nel 1241 sulla natura di Amore, gli altrettanti della scherzosa lite fra Dante e Forese Donati avvenuta negli anni 1293-1296 circa, e quella meno nota fra Petrarca e il conte Ricciardo da Battifolle sul male di vivere e la consolazione data dalla morte.

La "lettera aperta" della Vita nova di Dante

A nove anni di distanza dal primo incontro, Beatrice onora il Sommo Poeta del suo saluto. La dolcezza che scaturì da quel gesto, spinge Dante a ritirarsi in camera e a pensare a lei in solitudine. Vinto dal sonno, però, farà esperienza di un’enigmatica visione: circondato dalle fiamme gli viene incontro Amore, ridente e terribile; fra le braccia regge il corpo nudo di una donna avvolta in un drappo sanguigno, la quale si rivelerà essere poi l’Amata; a quest’ultima, Amore darà da mangiare il cuore ardente del poeta e, dopo aver tramutato la sua iniziale letizia in pianto, ascende al cielo con lei. Risvegliatosi per la troppa angoscia e attanagliato dal dubbio circa il significato del sogno avuto, il poeta decide di comporre un sonetto rivolto «a tutti li fedeli d’Amore; [...] pregandoli che giudicassero la [sua] visione».

La lirica con la quale si apre il celebre libello dantesco (A ciascun’alma presa e gentil core) è dunque un sonetto, come illustrato poco sopra, a valenza plurima o ‘circolare’, indirizzato a una molteplicità di destinatari legati da una caratteristica comune (in questo caso, l’aver tutti sperimentato il sentimento amoroso). In altre parole, Dante non fa altro che stendere quella che ancor oggi si dice una "lettera aperta" o, volendo attualizzare ulteriormente, un messaggio in una chat di gruppo con l’intento di trovare un riscontro da parte di interlocutori prediletti che possano aiutarlo a capire meglio il senso di un fatto empiricamente incisivo.

Sarà interessante notare come, al terzo verso della prima quartina, Dante tenga a specificare la propria aspettativa di mittente di ricevere una risposta esaustiva e che sia, soprattutto, in versi, confermando così quanto fino ad ora detto in merito alla tenzone e alla corrispondenza sonettistica:

A ciascun’alma presa e gentil core
nel cui cospetto ven lo dir presente,
in ciò che mi rescrivan suo parvente,
salute in lor segnor, cioè Amore. (vv. 1-4)
Dante Gabriel Rossetti, Il sogno di Dante alla morte di Beatrice (1871)

Cavalcanti, Maiano, D’Annunzio: i corrispondenti di Dante

Nel primo componimento della Vita nova c’è tutto: comunicazione, ricerca di confronto, socialità. E non mancano nemmeno le risposte all’appello lanciato da Dante ai suoi ’colleghi’ in Amore. Tra quelle più interessanti e citate vi sono i sonetti responsivi di due contemporanei del Sommo Poeta, il grande amico Guido Cavalcanti (Vedeste, al mio parere, onne valore) e l’assiduo corrispondente dello stesso Dante da Maiano (Di ciò che stato sei dimandatore).

Il primo, proseguendo sulla direttiva poetica dell’amor cortese proposta dal mittente, avanza un’interpretazione dei momenti salienti del sogno secondo i canoni codificati dal servitium Amoris. Il pasto del cuore si riferisce alla necessità di nutrire e sostenere chi è consumato dalla passione (così come Beatrice si ciba del cuore di Dante per scongiurare la sua morte, anche lui dovrà fare altrettanto col valore dell’amata):

Di voi lo core ne portò, veggendo
che vostra donn’a la morte cadea:
nodriala dello cor, di ciò temendo. (vv. 9-11)

Il pianto finale di Amore, invece, viene concepito da Cavalcanti come manifestazione del suo dispiacere per l’imminente risveglio del poeta, col quale ha fine il suo protagonistico intervento rivelatore:

Quando v’apparve che se’n gia dolendo,
fu ‘l dolce sonno ch’allor si compiea,
ché ‘l su’ contraro lo venìa vincendo. (vv. 12-14)

💡 Lo sapevi? Nonostante l’analisi cavalcantiana risultò erronea agli occhi del giovane poeta, egli vi attribuì comunque grande valore, tanto relazionale («E questo [il sonetto] fue quasi lo principio de l’amistà tra lui e me») quanto poetico-letterario (non solo la risposta del Cavalcanti aiuterà l’autore a comprendere come la sua visione è ‘patente’ che attesta la sua affiliazione alla corte d’Amore, ma i versi della stessa riecheggeranno spesso nei propri - ad esempio nel sonetto Vede perfettamente onne salute).

Di tutt’altro avviso il secondo corrispondente di Dante. Rifiutando il livello discorsivo della convenzione letteraria, propone piuttosto una lettura ‘comica’, ossia realistica, della visione. L’innamoramento è, secondo le teorie mediche dell’epoca di cui il Maiano si serve, una malattia fisica e mentale dalla quale si può guarire facendo ricorso a precise pratiche che egli non manca di riportare, quali il lavaggio dei testicoli («la tua coglia») e l’analisi delle urine («tua acqua»):

se san ti truovi e fermo de la mente,
che lavi la tua coglia largamente,
a ciò che stingua e passi lo vapore

lo qual ti fa favoleggiar loquendo;
[...]

Così riscritto el meo parer ti rendo;
né cangio mai d’esta sentenza mea,
fin che tua acqua al medico no stendo. (vv. 6-9, 12-14)

A diversi secoli di distanza, anche D’Annunzio si impegnerà ad aggiungere la propria voce al coro dei servi d’Amore. E lo farà, vestendo i panni di Paolo Malatesta, con un sonetto, posto poi in apertura alla sua tragedia Francesca da Rimini (1904), nel quale fornisce una soluzione al sogno-enigma, che sembrerebbe essere la più vicina alla percezione dantesca, secondo cui esso non è altro se non la prefigurazione della morte di Beatrice:

Poscia sen giva lagrime spargendo,
Per subita pietate che ‘l stringnea,
Ascosa morte in ella conoscendo. (vv. 9-11)
Scritto da Vincenzo Canto
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