Indice · Introduzione · Le prime opere nella corte di Firenze · L'opera di corte a Roma · L'opera impresariale · Il mestiere dell'Impresario tra spese e guadagni Articoli
Musica
Storia della Musica

Le origini dell'Opera italiana

Nel 1600 in Italia nacque un nuovo genere teatrale e musicale: l'Opera, destinata ad occupare le stagioni teatrali e riunire, fino ad oggi, il popolo in un'unica sala. L'opera italiana nacque nelle corti, si spostò in teatro, cambiò la sua forma e divenne uno dei generi più amati e redditizi della storia della musica. Tra i più grandi capolavori abbiamo la Traviata di Verdi, Madama Butterfly, Boheme e Turandot di Puccini, Le nozze di Figaro e Così fan tutte di Mozart, Cavalleria rusticana di Mascagni, Il barbiere di Siviglia di Rossini ecc..

Le prime opere nella corte di Firenze

Il primo tentativo di imbastire uno spettacolo interamente cantato prese luogo nella corte di Firenze. Lo scopo di queste prime rappresentazioni era risolvere l'esigenza di creare festosi e irripetibili eventi, ovvero per celebrare occasioni particolarmente importanti alle quali bisognava attribuire più solennità possibile. Così, i primi esemplari di opera furono spettacoli progettati e realizzati dal personale fisso di corte (letterati, musicisti, architetti, ingegneri, sarti, falegnami ecc...) per poi accogliere un pubblico selezionatissimo, il quale poteva accedere esclusivamente tramite invito. Senza nessuna forma di risparmio, il principe profondeva in queste rappresentazioni le sue risorse economiche, perché l'esibizione di tanta magnificenza accrescesse il suo prestigio agli occhi delle corti amiche, rivali e di tutti gli invitati.

Piazza della Signoria a Firenze nel 1600

Le pubblicazioni attorno a questo evento, le descrizioni, i commenti, le scenografie e la musica, fecero sì che la diffusione e la successiva emulazione fu inevitabile. Infatti, dopo Firenze, si scatenò una sorta di gara tra le corti che, per celebrare la propria grandezza, si occuparono di realizzare queste magnifiche rappresentazioni. Ciò avvenne nelle corti di Mantova, Ferrara, Parma, Piacenza, e Torino.

A Mantova, i primi ad aver accolto la prima sfida dei fiorenti furono gli intellettuali dell'Accademia degli Invaghiti i quali organizzarono la prima esecuzione dell'Orfeo di Monteverdi. Successivamente, nel 1608 la corte dei Gonzaga pianificò la rappresentazione di altre opere come la Dafne di Marco da Gagliano e l'Arianna di Claudio Monteverdi, entrambe su testi di Ottavio Rinuccini.

L'opera di corte a Roma

Nei decenni seguenti fu un'altra città a promuovere assiduamente questo nuovo genere di spettacolo: Roma. Anche qui l'Opera trovò accoglienza nei palazzi della nobiltà e dei cardinali, ma anche in seminari e collegi religiosi senza entrare mai presso la corte pontificia, la quale (ovviamente) si rifiutava di realizzare uno spettacolo profano.
La produzione operistica romana assunse una connotazione particolare dovuta all'importante potenza cattolica e così, a parte le comuni trame della mitologia classica, nacquero numerose opere riguardanti le vite dei santi, infatti una delle prime fu l'opera di Stefano Landi Sant'Alessio (1631) su libretto di Giulio Rospigliosi. Questa fu una delle prime a mettere in scena la vita (seppur romanzata) di un uomo reale, con problemi e drammi interiori. Seguì così un filone dell'opere romane fondate sulle vite dei santi, ad esempio: Didimo e Teodora (1635), San Bonifatio (Virgilio Mazzocchi, 1638), Sant'Eustachio (ancora di Mazzocchi, 1643) ecc.
Le frequenti rappresentazioni di questo genere fecero abituare il pubblico a personaggi che, anziché parlare, dialogavano cantando.

Nel 1632, con la seconda rappresentazione del Sant'Alessio, venne inaugurata la grande stagione delle cosiddette opere barberiniane nel palazzo dei Barberini. I Barberini erano la famiglia romana più potente degli anni che celebravano i fasti (giorni dell'antico calendario romano liberi da eventi prettamente religiosi) con gli artisti più importanti, tra i quali anche il noto Girolamo Frescobaldi.
Probabilmente, la prima opera barberiniana fu la "fiaba boscareccia" Diana schernita (1629) di Giacinto Cornacchioli.
Questa produzione prese luogo in vari palazzi della città (come il palazzo della Cancelleria) e vicino ai giardini del palazzo di famiglia venne addirittura allestito un teatro semipermanente di 3500 posti. Oltre alla quantità delle produzione non mancò la qualità, infatti si avvalsero di scenografie e nuove macchine progettate dal direttore artistico Gian Lorenzo Bernini. Inoltre, fu lo stesso Giulio Rospigliosi l'autore della maggior parte dei libretti, tra tutti è da citare Erminia sul Giordano (1633, Michelangelo Rossi) il cui argomento è poi stato trattato nella Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.
Il declino delle attività operistiche barberiniane venne segnato non solo dalla morte di papa Urbano VIII nel 1644 e l'elezione del papa Innocenzo X, ma anche dall'avvento al potere della rivale famiglia Pamphilj.

L'opera impresariale

Mentre la città di Roma veniva culturalmente animata dalla produzione barberiniana, l'asse della vita operistica italiana si spostò al nord e soprattutto a Venezia. Anche se dall'inizio del Seicento iniziò a soffrire di una grave crisi economica, la laguna veneziana poteva ancora mantenere una vita culturale piuttosto vivace agevolata anche della libertà di stampa e di pensiero, nonché da una grande circolazione di capitali, non molto comuni a quell'epoca.

Fu proprio a Venezia, precisamente nel 1637, che l'Opera di corte mutò in Opera impresariale.
Questo accadde quando un gruppo di musicisti veneziani e romani, con a capo il librettista Benedetto Ferrari ed il compositore Francesco Manelli, affittarono il Teatro San Cassiano di Venezia dove rappresentarono l'opera Andromeda (di Manelli e Ferrari) con un bilancio finale più che soddisfacente: recuperarono le spese dell'allestimento grazie alla vendita dei biglietti. Da quel momento in poi l'opera non fu più legata al sostegno economico del principe di corte, ma divenne una vera e propria impresa commerciale a scopo di lucro.
Però, nonostante sembri un'attività culturale aperta alla società, i costi dei biglietti furono talmente pregiati da essere accessibili solo al pubblico più ricco, così il pubblico dell'opera di corte e dell'opera impresariale rimase pressoché invariato.

una rappresentazione teatrale: i cantanti sul palco, l'orchestra nella buca ed il pubblico in platea con un servizio di ristorazione

Il mestiere dell'Impresario tra spese e guadagni

Insieme all'opera impresariale nacque la figura dell'impresario che, se non era già un aristocratico, parallelamente svolgeva un'attività stabile. Il suo lavoro consisteva nell'investire il capitale pagando (e quindi anticipando) le spese iniziali dell'allestimento, alle volte un solo capitale non era sufficiente e per questo furono costituite anche delle società di impresari (come accadde per l'Andromeda).

Nel pratico, l'impresario doveva occuparsi di: affittare il teatro, retribuire il compositore dell'opera, i musicisti, i cantanti (eventualmente anche quelli più noti e quindi più costosi), lo scenografo, il copista, il personale tecnico, falegnami, sarti, parrucchieri ecc. Colui che invece si sottrasse molto spesso da questo elenco fu il librettista. Egli la maggior parte delle volte era una aristocratico, si faceva carico delle spese relative alla stampa e poi prendeva l'intero ricavato della vendita dei libretti.
Nel frattempo, l'unica fonte di rendita per l'impresario era la vendita dei biglietti e se il flusso del pubblico fosse stato insufficiente allora l'impresario si sarebbe indebitato, così iniziò a diffondersi l'uso di affittare preventivamente (anche per l'intera stagione teatrale) i palchetti del teatro alle famiglie aristocratiche che potevano addirittura averne uno arredato e personalizzato secondo il loro gusto. Tuttavia, anche solo mantenere un equilibrio tra costi e guadagni, cercando di ridurre le spese (le orchestre diventarono sempre più scarne, i cori scomparvero), non era semplice per gli impresari, tanti fuggirono, altri vennero arrestati o semplicemente fallirono.

Una strategia vincente, purtroppo non a favore della musica, è stata quella di organizzare degli spazi del teatro per i giochi d'azzardo i cui ricavi permettevano all'impresario di continuare la gestione.

Scritto da Roberta Gennuso
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