Indice · L’uomo è un lupo per l’altro uomo · Ex alieno incommodo lucrum · Mors tua, vita mea Articoli
Letteratura

Homo homini lupus est

La bestialità dell’uomo nelle sentenze latine più famose

L’uomo è un lupo per l’altro uomo

Questa celebre e lapidaria sentenza deriverebbe da una battuta presente nell’Asinaria, commedia scritta da Plauto in una data imprecisata fra il 211 e il 206 a. C. A pronunciarla è il mercante che appare in scena nell’atto secondo: questi, dovendo saldare un debito con la moglie del vecchio Demeneto, viene raggiunto dal servo di quest’ultimo, Leonida, il quale lo intima a consegnargli la somma. Tuttavia il mercante si rifiuta, adducendo una ragione ben precisa e finendo per avere la meglio sulle pretese del servo:

Mercator: [...] Fortassis. Sed tamen me
numquam hodie induces, ut tibi credam hoc argentum ingoto.
Lupus est homo homini, non homo, quom qualis sit non novit.



Mercante: [...] Sarà così, ma oggi non mi persuaderai mai a consegnarti i quattrini, se non ti conosco. Quando un uomo non lo si conosce, non lo si considera un uomo, ma un lupo per l’uomo che gli sta di fronte. (Plauto, Asinaria, II, 4, vv. 493-495)
Mosaico pavimentale romano che illustra il mito di Romolo e Remo. Scoperto ad Aldborough (Isurium Brigantum) vicino a Leeds, North Yorkshire (ex West Riding), UK. Esposto al Leeds City Museum.

Venuta meno la circostanza particolare, il motto si è poi diffuso e trova tutt’oggi impiego in un senso più universale che guarda a ogni rapporto umano, sempre spietatamente incentrato alla concorrenza nell’eterna lotta per la vita.

💡 Lo sapevi? Il filosofo britannico Thomas Hobbes, ad esempio, farà uso della formula Homo homini lupus nell’epistola dedicatoria del De cive (1642) per illustrare la violenza fra gli individui nello stato di natura, precedente all’organizzazione statale.

Ex alieno incommodo lucrum

Il concetto figura già alquanto radicato nella cultura antica, come è possibile dedurre dalle varie espressioni rintracciabili che ad esso rimandano.

Nelle Saturae menippeae di Varrone (46 a. C. ca.) si ritrova l’immagine del pesce grande che divora quello piccolo, esemplificazione del diritto del più forte spesso operante fra gli uomini:

natura humanis omnia sunt paria:
qui pote plus, urget, piscis ut saepe minutos
magnus comest, ut avis enicat accipiter.



In natura tutte le cose sono uguali a quelle umane : colui che può di piú schiaccia [i piú deboli], come il pesce grande spesso divora i piú piccoli, come il falco uccide gli uccelli. (Varrone, Saturae menippeae, LII, 293, 81, 9)
Dettaglio del mosaico nel frigidarium delle terme raffigurante pesci e molluschi, Rovine romane di Milreu, una lussuosa villa rurale trasformata in una prospera fattoria nel III secolo, Portogallo

L’idea del vantaggio che l’uomo suole trarre dalle debolezze dell’altro (ex alieno incommodo lucrum) ritorna nel De beneficiis di Seneca (56-62 d. C. ca.). Partendo dal caso di un impresario di pompe funebri, il cui guadagno proviene dalla morte altrui, il filosofo afferma che sulla base di questo criterio si condannerebbe gran parte degli uomini, dato che operano tutti nel proprio interesse:

Magnam hominum partem damnabis; cui enim non ex alieno incommodo lucrum? Miles bellum optat, si gloriam; agricolam annonae caritas erigit; eloquentiae exceptat pretium lilium numerus; medicis gravis annus in quaestu est; institores delicatarum mercium iuventus corrupta locupletat; nulla tempestate, nullo igne laedantur tecta, iacebit opera fabrilis.


Condannerai così la maggior parte degli uomini; infatti chi non trae guadagno dai disagi degli altri? Il soldato desidera la guerra, se desidera la gloria; l’agricoltore si rallegra quando il costo dei generi alimentari aumenta; il prezzo degli avvocati aumenta se aumenta il numero delle liti; un tempo di epidemie è tutto guadagno per i medici; la corruzione della gioventù fa ricchi i negozianti dei prodotti di lusso; se né le tempeste, né il fuoco danneggiano le case, si deprezzerà l’attività di chi le costruisce.

E ancora, nel De officiis di Cicerone (44 a. C.), si legge in merito una ferma condanna:

Detrahere igitur alteri aliquid et hominem hominis incommodo suum commodum augere magis est contra naturam quam mors, quam paupertas, quam dolor, quam cetera, quae possunt aut corpori accidere aut rebus externis. Nam principio tollit convictum humanum et societatem. Si enim sic erimus adfecti, ut propter suum quisque emolumentum spoliet aut violet alterum, disrumpi necesse est eam, quae maxime est secundum naturam, humani generis societatem.


Dunque, che un uomo sottragga qualcosa ad un altro e aumenti il proprio vantaggio con lo svantaggio di un altro è contro natura più della morte, della povertà, del dolore e di tutti gli altri mali che possono accadere al corpo o ai beni esterni: ciò infatti mina alle basi la convivenza umana e la società: [se infatti saremo così disposti da spogliare o violare un altro a causa del suo guadagno, di necessità si disgrega quella che è soprattutto secondo natura, cioè il legame tra gli uomini.
Rogier van der Weyden: la discesa dalla croce

Mors tua, vita mea

Non mancano significative riprese più tarde del motivo in analisi, anche in questo caso con varianti.

Nel Medioevo si legge con frequenza il motto Mors tua vita mea (’La tua morte è la mia vita’), perlopiù declinato in senso religioso con riferimento al sacrificio del Cristo, la cui morte è stata salvezza per l’intera umanità. In questo caso, il tema ricorre in formule del tipo Mors tua vita fuit (’La tua morte fu la [nostra] vita’) oppure Mors Christi vita mea (’La morte del Cristo è la mia vita’).

Altrettanto prossimo il proverbio Duobus litigantibus tertius gaudet (’Tra i due litiganti il terzo gode’), il cui precedente sembrerebbe collocarsi nelle Elucidationes variae dello Pseudo-Ugo da San Vittore (XII secolo):

Primus dormit in spe, secudus vigilat in spe, tertius gaudet in re


Il primo dorme nella speranza, il secondo vigila nella speranza, il terzo gode nella realtà (Pseudo-Ugo da San Vittore, Elucidationes variae, 6,21)
Scritto da Vincenzo Canto
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