Speranza e fatica nelle sentenze latine più famose
Letteralmente "attraverso le asperità fino alle stelle", questo motto ben sintetizza la possibilità, per l’uomo, di raggiungere il massimo risultato ma solo dopo aver affrontato numerose difficoltà.
Non se ne conosce l’origine puntuale, ma le diverse occorrenze presenti nelle letterature classiche permettono di comprenderne la provenienza mitologico-religiosa legata all’assunzione degli eroi in cielo.

Per aspera ad astra nella cultura greco-latina
Importanti precedenti greci si ritrovano ne Le opere e i giorni di Esiodo (VIII sec. a. C.) e in Platone, cui tale proverbio risulta assai caro per l’alta frequenza con la quale ricorre in alcune delle sue opere (la Repubblica, il Cratilo e l’Ippia maggiore).
In latino, paradossalmente, gli esempi di maggior rilievo non riportano mai la formula integra ma perlopiù divisa nei suoi due principali sintagmi.
Si rintraccia per aspera in un frammento poetico di Cornelio Severo (I sec. d. C.) e, più tardi, nel De consolatione philosophiae (524 d. C.) di Boezio:
Ardua virtuti longeque per aspera cliva / eluctanda via est. Per la virtù bisogna aprirsi la strada con difficoltà, a lungo e per pendii scoscesi. (Cornelio Severo)
Gloriam petis? Sed per aspera quaeque distractus securus esse desistis. Cerchi la gloria? Ma trascinato tra asperità di ogni tipo hai finito di essere tranquillo. (Boezio, De consolatione philosophiae, 3, 8)

Ad astra si ha, invece, nell’Hercules furens di Seneca e nell’Eneide di Virgilio:
Non est ad astra mollis e terris via. La strada per gli astri non è facile dalla terra. (Seneca, Hercules furens, v. 437)
Aetheria tum forte plaga crinitus Apollo desuper Ausonias acies urbemque videbat nube sedens, atque his victorem adfatur Iulum: 'macte nova virtute, puer, sic itur ad astra, dis genite et geniture deos. [...]’ Nella regione eterea per caso Apollo crinito dall'alto vedeva le truppe ausonie e la città sedendo su di una nube, e così parla a Iulo vittorioso: "Evviva il tuo nuovo valore, ragazzo, così si sale alle stelle, generato da dei e destinato a generare dei. [...]”(Virgilio, Eneide, IX, vv. 638-642)
L’espressione del celebre poema virgiliano (sic itur ad astra) rimanda all’episodio in cui Apollo si complimenta con Ascanio/Iulo, figlio di Enea, per esser uscito vincente contro Remulo, cognato di Turno, re dei Rutuli. Essa si è poi diffusa con la stessa valenza del più noto Per aspera ad astra, specie nella connotazione cristiana per cui la via del cielo è quella più ardua, ma anche laicamente riferito in proposito a studi astronomici o imprese aeronautiche.
💡 Lo sapevi? Per aspera ad astra è il titolo di quindici studi di virtuosità per pianoforte realizzati dal compositore polacco Moritz Moszkowski.

Ad maiora! Ad multos annos!
Proseguendo il valore augurale del detto in analisi, si sono affermate nell’uso comune locuzioni come Ad maiora! (’A successi più grandi!’), auspicio rivolto al conseguimento di risultati maggiori o quale forma di consolazione in occasioni difficili, per cui si rimanda con speranza a momenti migliori.
Altro esempio, in questo senso, è Ad multos annos! (’Per molti anni!’), formula di augurio nata in ambiente cattolico e solitamente pronunciata, per tre volte e mentre ci si avvicinava con tono sempre più elevato, dall’abate o dal vescovo consacrati al ministro che li consacrava.
Per angusta ad augusta: il sudore della vita
Riprendendo la valenza ‘sacrificale’ di questa sentenza, si ritrovano di essa ulteriori versioni latine.
Una di queste è Per angusta ad augusta (‘Attraverso le strettoie fino alle cime più elevate’), forse di matrice evangelica. In Matteo (7, 13) e in Luca (13, 24) si leggerebbe infatti un avvertimento secondo il quale la porta che conduce alla vera vita è, appunto, angusta, stretta:
“Entrate per la porta stretta; perché ampia e spaziosa è la strada che conduce alla distruzione, e molti sono quelli che vi entrano.” (Mt, 7, 13)
“Sforzatevi con vigore per entrare dalla porta strett, perché molti, vi dico, cercheranno di entrare ma non potranno [...].” (Lc, 13, 24)
Così configurato, il motto ha acquisito popolarità grazie alla sua presenza nel dramma Hernani di Victor Hugo (1830) e nell’omonima opera di Verdi ad esso ispirata (1844) in quanto parola d’ordine dei congiurati contro Carlo V.
💡 Lo sapevi? L’Hernani (o L’Onore Castigliano) è una tragedia in cinque atti nella quale Hugo racconta della vicenda drammatica, ambientata nella Spagna del 1519, del bandino eponimo e della sua amata Donna Sol, altresì desiderata dall’imperatore Carlo V d’Asburgo. Con essa, l’autore inaugura la stagione romantica del teatro francese.
Altra versione è Per crucem ad lucem (‘Attraverso la croce fino alla luce’), di origine medievale e strettamente legata all’idea del sacrificio di Cristo: come quest’ultimo ha conseguito la salvezza universale portando sulle spalle la croce fino alla morte, così ogni individuo deve recare con sé la propria perché possa essere degno del premio della vita eterna.

Sulla stessa linea che guarda al travaglio esistenziale è Nil sine magno vita labore dedit mortalibus (‘La vita non dà nulla ai mortali senza grande fatica’), tratta dalla Satire di Orazio (I, 9). In questo celebre testo, il poeta si trova alle prese con un seccante arrampicatore sociale, presuntuoso e pieno di sé, intenzionato a entrare nella cerchia dei letterati di Mecenate (della quale lo stesso Orazio faceva parte) a tutti i costi:
[...] "Magnùm narràs, vix crèdibile". "Atqui sìc habet". "Àccendìs quarè cupiàm magis ìlli pròximus èsse." "Velìs tantùmmodo: quàe tua vìrtus, èxpugnàbis: et èst qui vìnci pòssit eòque dìfficilìs aditùs primòs habet." "Hàud mihi dèero: mùneribùs servòs corrùmpam; nòn, hodiè si èxclusùs fuerò, desìstam; tèmpora quàeram, òccurram ìn triviìs, dedùcam. Nìl sine màgno vìta labòre dedìt mortàlibus”. [...] “Tu mi racconti una cosa grandiosa, a stento credibile”. “Eppure è così”. “Mi infiammi a desiderare ancora di più di essergli vicino”. “Purché tu lo voglia: con le capacità che hai, lo conquisterai: ed è un uomo tale da poter essere vinto e proprio per questo rende difficili i primi approcci”. “Non verrò meno a me stesso: corromperò gli schiavi con dei doni; se oggi sarò lasciato fuori di casa, non mi arrenderò; cercherò i momenti opportuni, gli andrò incontro agli incroci, lo accompagnerò. La vita senza grande fatica non concede niente ai mortali”. (Satire, I, 9, vv. 52-60)Scritto da Vincenzo Canto

Questa celebre e lapidaria sentenza deriverebbe da una battuta presente nell’Asinaria, commedia scritta da Plauto in una data imprecisata fra il 211 e il 206 a. C. A pronunciarla è il mercante che appare in scena nell’atto secondo: questi, dovendo saldare un debito con la moglie del vecchio Demeneto, viene raggiunto dal servo di quest’ultimo, Leonida, il quale lo intima a consegnargli la somma.

Rappresentante, insieme a D'Annunzio ma diversamente da lui, del Decadentismo in Italia, ultima grande voce della letteratura italiana a cavallo fra Otto e Novecento precedente l'avvento della crisi crepuscolare e avanguardistica, il nome di Pascoli sarà la firma di un'eredità poetica assai longeva e maestra per gran parte delle generazioni di poeti e scrittori susseguitesi in tutto il XX secolo.

A fianco della ricca tradizione manoscritta e critica legata al nome di Dante, se ne colloca una ulteriore altrettanto copiosa di carattere strettamente aneddotico, la quale ha senza dubbio il merito di contribuire in primo luogo all'incremento del già notevole rilievo che è proprio della figura del Sommo Poeta fiorentino.