Indice · Il cammino verso la nuova musica · Il declino della tonalità · La dodecafonia · Il serialismo come massima coerenza · La dodecafonia dopo Schönberg Articoli
Musica
Storia della Musica

Dodecafonia

Il cammino verso la nuova musica

Il cammino verso la nuova musica” è il titolo dato da Anton Webern ad una serie di sedici conferenze tenute in una casa privata di Vienna nel 1933 in cui il compositore volle illustrare il processo che portò Schönberg alla teorizzazione della dodecafonia.

Fin dal primo incontro Webern sembra voler insistere sul fatto che la “nuova musica” (così la chiama) sia il derivato inevitabile del naturale percorso della storia della musica occidentale. Per prima cosa definisce il concetto di musica citando Goethe: “L’arte è l’espressione della natura universale attraverso l’uomo”, secondo questa definizione dunque, l’uomo non è altro che un mezzo che, nel caso della musica, utilizza il suono per tradurre la natura universale. Ho utilizzato la parola tradurre non a caso, infatti, per Webern la musica è un linguaggio e per essere tale deve essere chiaro e coerente.

Copertina libro il cammino verso la nuova musica

A proposito di Webern:

Il cammino verso la nuova musica

"Il cammino verso la nuova musica" contiene, oltre a una serie di preziose lettere, le sedici conferenze che Anton Webern tenne tra il 1932 e il 1933 in una casa privata di Vienna.

Le leggi che regolano la natura non sono però di tipo estetico e dunque nemmeno l’arte, che ne è il prodotto, può essere assoggettata a leggi che non siano di tipo fisico-universale. La scala di sette suoni deriva dalla natura stessa del suono poiché i primi armonici sono la quinta e la terza ed il primo armonico (cioè la quinta) è il più in evidenza, dunque considerando di un suono la quinta sopra e quella sotto, nei primi due armonici di questi tre suoni troviamo tutte le sette note della scala:

dodecafonia

Il declino della tonalità

La dodecafonia di Schönberg non fu la prima a mettere in discussione il sistema tonale, ben prima iniziò dovuto alla “conquista del cromatismo”. Questo“super-modo” nasce dall’esigenza di trovare delle cadenze originali nella fine dei brani e dunque si inizia a considerare ogni grado della scala come una possibile dominante eventualmente ottenuta mediante l’utilizzo di alterazioni cromatiche, questo comporta che gli accordi secondari iniziano ad acquisire importanza e la possibilità di avere più dominanti crea una ambiguità che ci allontana da un tono principale e quindi da una tonalità. Weber fa risalire questo già a Bach e propone l’esempio del corale “Hir ist das rechte Osternlamm” (BWV 148) in cui si può già vedere l’utilizzo di alterazioni in funzione di sensibile per risolvere su gradi diversi dalla tonica. Tuttavia, nel periodo classico si svilupperà l’importanza del tema e del suo sviluppo di cui vedremo l’importanza per il serialismo. Il romanticismo, soprattutto nel suo periodo più tardo, ha invece accelerato sempre più verso la distruzione il processo che portò alla sua totale dissoluzione nei primi decenni del novecento. Il primo passo fu il superamento dei due modi maggiore e minore della tonalità.

bach corale

Se con Bach le alterazioni erano usate con “cautela” per risolvere su gradi diversi dalla tonica, nel romanticismo l’utilizzo di cromatismi viene completamente sdoganato senza preoccuparsi di doverli giustificare armonicamente. Ma non è tutto, sempre per andare incontro alla necessità di creare una continua ambiguità, vengono usati accordi come la settima diminuita che può risolvere addirittura su quattro toni diversi. Il simbolo di quest’era è ovviamente il “Tristan Akkord” di Wagner e la sua importanza non è dovuta all’accordo di per sé, ma all’utilizzo che il compositore ne fa. Accordi simili erano già stati utilizzati in precedenza ma di passaggio e senza dargli tutta l’importanza che Wagner gli ha donato. Gli accordi divennero sempre più complessi e lontani dalla triade fondamentale, ma sopratutto, l’orecchio iniziava ad accettarli fino al punto che divennero usati quasi esclusivamente. In questo processo, le forme ben delineate nel classicismo iniziarono a stare strette ai compositori. Pensiamo alla forma sonata che è basata su una tonalità da cui si parte e a cui, dopo uno sviluppo che può essere più o meno intricato, si deve ritornare. Con la liberalizzazione di questi nuovi accordi, una volta iniziato lo sviluppo, divenne sempre più difficile tornare al punto di partenza tanto che tornarci sarebbe stata un’inutile forzatura. Schönberg parla del disagio che sentiva quando nel suo periodo espressionista non riusciva più a riportare i pezzi alla loro origine “tonale” e di quanto gli risultasse più naturale ed appagante lasciarli sviluppare liberamente. A questo punto il passo verso la dodecafonia è breve.

La dodecafonia

Già nei primi anni del ‘900 Schönberg si convinse che la tonalità andava superata del tutto, tuttavia tutto ciò che scriveva nonostante venisse definito “atonale” (termine che lui detestava poiché letteralmente significa senza suono) era invece pan-tonale cioè un sistema di certo slegato dai principi tradizionali e che comprendeva già l’idea di tutte le dodici note utilizzate indiscriminatamente ma che tuttavia conservava se pur vagamente il richiamo ad un suono fondamentale e dunque ad una tonica. Il compositore si rese conto che la ripetizione di una nota comportava che questa acquisisse più valore rispetto alle altre e rischiava di divenire una vera e propria tonica, per evitare ciò, mentre componeva, si scriveva su un foglio le dodici note e man mano che le usava le cancellava per evitare di ripeterle.

Da questo singolare modo di procedere viene teorizzata la dodecafonia: nessuna nota va ripetuta prima che tutte le altre undici non siano apparse, in questo modo si evitava qualunque gerarchia nelle note e l’ambiguità, così ricercata, è totale. L’esposizione delle dodici note è detta “serie dodecafonica” e come vedremo è il fondamento di tutta la musica dodecafonica. La mancanza di gerarchia non può essere però solo nella serie, anche le voci devono mantenere dei rapporti paritari.

Durante il periodo classico si è andati verso uno sviluppo totalmente incentrato su una melodia accompagnata, questo crea di per se una gerarchia tra le voci che in epoche precedenti era molto meno marcata. Per questo Schönberg riprende le idee contrappuntistiche dei compositori fiamminghi in cui le voci non sono solamente ben incastrate tra di loro ma del tutto complementari. Questo si può vedere nello sviluppo della serie di Schönberg che non viene suonata da un solo strumento ma passa attraverso tutte le voci. Un esempio di questo è il suo quintetto per fiati Op. 26 del 1924 che è la prima opera interamente dodecafonica del compositore.

schoenberg dodecafonia

Già dalle prime battute del pezzo possiamo vedere come tutta la serie viene divisa tra i cinque strumenti. Definita questa regola generale sorgono però dei problemi pratici: nonostante non sia ammessa la ripetizione di una singola nota è però ammesso tenere una nota come pedale ed eventualmente non considerarlo nello sviluppo della serie. Altra problematica di cui si accorgono presto Webern e Schönberg è che applicando strettamente le regole della serie e della dodecafonia i pezzi risultano essere brevissimi poichè sono privi di un vero e proprio sviluppo dato che la ristrettezza dei modi in cui può essere trattata la serie non permette di dilungarsi troppo. C’è da dire che visti questi problemi Schönberg e Berg ben presto inizieranno a considerare queste leggi dodecafoniche con meno rigore, forse il più convinto dei tre rimarra Webern mentre Schönberg nonostante sia il padre di questa tecnica, non si slegherà mai veramente dalla tradizione musicale come si può apprendere dalle testimonianze delle sue lezioni o dal suo manuale di armonia.

Il serialismo come massima coerenza

Nella mente di Schönberg la dodecafonia non era l’obiettivo finale ma uno strumento da usare insieme ad altri per portare la musica verso la massima coerenza possibile. Nel saggio di Webern la parola coerenza è ripetuta molte volte e sembra essere la questione principale attorno alla quale ruota tutto il suo discorso, ma cosa intende per coerenza? Abbiamo già visto come la musica è considerata da questi compositori un linguaggio attraverso il quale esprimere la natura universale, ma un linguaggio per essere tale deve risultare chiaro e coerente con se stesso. Innanzi ogni discorso deve partire da un’idea da esprimere, nel caso della musica l’idea può essere un tema ovvero una successione ritmica e melodica di alcune note. Dunque, per essere coerente, il discorso musicale dovrà attenersi il più possibile all’idea generatrice scrutandola in tutte le sue possibilità. Questo modo di procedere non viene di certo inventato con la dodecafonia, l’elaborazione tematica è propria di tutte le epoche se pur con delle differenze.

Webern usa come esempio di coerenza “L’arte della fuga” di Bach che si sviluppa da un solo tema utilizzato in ogni sua possibilità e dunque non discostandosi mai dall’idea originaria. Come vedremo anche in seguito il serialismo e la dodecafonia ingloberanno una serie di nozioni direttamente dalle forme contrappuntistiche. Oltre alla fuga esiste un’altra forma che rimane sempre legata ad una sola idea ed è il tema e variazioni. Addirittura Webern si spinge a dire che il tema e variazioni è un’antenato del serialismo. Considerando tutto ciò dunque ci si chiede ma cosa c’è di più coerente se non l’utilizzo ripetuto della stessa idea senza sostanziali modifiche? Dunque questo è il secondo elemento: la ripetizione che può avvenire in momenti diversi del brano, per esempio nella forma sonata avviene nella ripresa dopo lo sviluppo.

Copertina libro il cammino verso la nuova musica

A proposito di Schönberg:

Musica e pittura

Il volume raccoglie le lettere che Arnold Schönberg e Vasilij Kandinskij si scambiarono agli albori del XX secolo.

Tutta via anche lo sviluppo per essere il più coerente possibile non dovrebbe discostarsi troppo dall’idea originale, con questo intento nasce il serialismo. Con il serialismo l’idea originaria di cui abbiamo parlato fin ora prende il nome di “serie” (in questo caso ci riferiremo sempre ad una serie dodecafonica ma è bene specificare che serialismo e dodecafonia sono cose diverse e dunque la serie può essere anche tonale o modale) ed i modi in cui questa può essere utilizzata sono 49: partendo dalla seconda, terza, quarta nota ecc. e nei modi retrogrado, inverso e retrogrado dell’inverso. É chiaro che in questo modo l’attinenza all’idea originale è totale poiché una volta composta la serie il compositore dovrà solo scegliere in quali di questi modi la vorrà sviluppare e ogni nota che scriverà sarà sempre direttamente derivata dalla stessa. Per questo motivo Webern sostiene che il serialismo è la più alta forma di coerenza musicale mai esistita.

Non dimentichiamoci che nei pezzi scritti con questa tecnica compositiva apparentemente geometrica e totalmente razionale deve trovare spazio comunque l’espressione, altrimenti diviene un puro esercizio matematico senza nessuna valenza musicale. In letteratura sistemi di questo tipo esistono da tempo, con l’utilizzo di frasi palindrome che mantengono lo stesso significato lette in senso opposto, ma l’esempio più famoso, accompagnato anche da una certa dose di mistero, è il quadrato del Sator, una antichissima frase trovata già incisa in alcuni resti di Pompei (dunque prima del 79 D.C), che può avere molteplici significati. La caratteristica principale però, è che essa, ponendo le parole a formare un quadrato, può essere letta in quattro sensi differenti e per questo è usata da Webern come analogia con i quattro modi di trattara la serie musicale.

Il quadro del Sator

La dodecafonia dopo Schönberg

Se Schönberg e Berg utilizzavano la dodecafonia ed il serialismo in modo abbastanza libero, Webern divenne sempre più rigoroso e fu la sua linea dura a prendere piede nei compositori della generazione successiva. In particolare Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen e Henri Pousseur portarono l’idea di Webern all’estremo creando il “serialismo integrale” in cui la serie non è composta solo dalla altezza delle note, ma anche da ritmo, timbro e dinamiche.

Proprio Boulez scrisse il famoso articolo intitolato “Schönberg è morto!” in cui scrive “Dalla penna di Schoenberg abbondano, in effetti, – non senza provocare l’irritazione – , i clichés di scrittura temibilmente stereotipi, rappresentativi, anche qui, del romanticismo più ostentato e più desueto.” Dunque, pareva chiara la volontà di andare ancora oltre la dodecafonia e di slegarsi totalmente da qualsiasi tradizione. Forse però il vero grande contributo della dodecafonia è stato nella musica non dodecafonica.

Dopo Schönberg infatti si svilupperanno una grande quantità di generi musicali e avanguardie che probablimente hanno come origine la rottura con il passato ideata dal compositore austriaco e questo è, probablimente, il principale merito della sua rivoluzionaria intuizione.

Scritto da Stefano Vivaldini
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