Storia della notazione musicale
Tra tutti i progressi e invenzioni umane una è stata scelta come simbolo che divide in preistoria e storia la linea del tempo dell’umanità: la scrittura.
La scrittura è quell’invenzione che ha permesso agli uomini di archiviare conoscenze in maniera più efficace rispetto alla sola memoria. Ma se la scrittura è comparsa circa 8mila anni fa, per la notazione musicale dobbiamo aspettare molto più tempo.
Proprio come per la scrittura, non esiste un solo modo per indicare i suoni e, nel tempo, si sono sviluppati vari sistemi che arrivano fino a noi.
Le prime forme di notazione musicale
Il primissimo esempio di notazione sembra essere quello trovato su una tavoletta sumera. Più che una vera notazione musicale, si tratta di una descrizione di come deve essere eseguita una musica attraverso i caratteri cuneiformi. Questo sistema di mutuare le lettere dell’alfabeto per i suoni è comune anche alla notazione greca che è il primo reale modo di scrivere le note musicali attraverso appunto le lettere dell’alfabeto ed altri piccoli segni. Tuttavia siamo portati a pensare che la notazione greca fosse usata solamente a livello teorico e non veramente applicata allo studio e all’esecuzione musicale che rimanevano orali.
Invenzione della notazione musicale moderna
Ma a parte questi antichi esempi, la storia della notazione musicale moderna inizia nel 900, è infatti del 930 il codice di San Gallo che contiene il primo esempio di scrittura musicale.
Questa scrittura è però molto diversa da quella a cui siamo abituati oggi, è infatti detta neumatica perché è basato su segni detti neumi posti al di sopra del testo. si può pensare che questi segni imitino la funzione delle mani del direttore secondo un principio di chironomia.
I segni principali sono:
- il puntum,
- la verga,
- podatus,
- clivis,
- scandicus,
- climacus,
- torculus,
- porrectus.

Questi segni però, come potrete immaginare, non ci danno la possibilità di leggere l’altezza delle note nè il ritmo ma sono piuttosto un’indicazione, come un promemoria per chi conosca già il canto. E per questo, questa notazione è detta adiastematica.
Da qui inizia l’evoluzione che ci porterà alla notazione che conosciamo oggi. Il passo successivo che ci porta più vicino alla notazione moderna è la semplice aggiunta di una riga. Questa riga veniva segnata con una punta a secco sopra il testo e serviva come riferimento per l’altezza. I segni scritti sopra erano quelli più acuti e, quelli scritti sotto, quelli più gravi.
Successivamente, le linee diventarono due: una rossa per il FA ed una gialla per il DO. Con l’aggiunta di altre righe, arrivano anche le chiavi che hanno lo scopo di segnare a quale rigo corrispondono il fa il do e successivamente il sol. Le tre chiavi moderne non sono altro che una stilizzazione delle lettere C, F, G corrispondenti appunto a do fa e sol. anche il modo di scrivere i neumi necessariamente cambia diventando un modo sempre più preciso per segnare gli intervalli musicali.
Guido D'Arezzo
Il perfezionamento di questo sistema con quattro righi è dovuto a Guido d’Arezzo, un monaco benedettino. Su Guido d’Arezzo vale la pena soffermarsi, visto l’importanza che ha avuto questo personaggio per la musica, è infatti colui che diede il nome le note, prendendo come riferimento le prime sillabe dell’inno di San Giovanni.
Nel tetragramma le note vengono scritte come dei quadrati e per questo questa notazione viene detta quadrata, in questo modo però non è ancora possibile determinare con chiarezza la durata delle note, ma è per la prima volta possibile scrivere precisamente l’altezza dei suoni.
Storia di bemolle, bequadro e diesis
A questo stesso scopo vengono inventati i simboli bemolle diesis e bequadro. Il bemolle significa originariamente B molle ossia si molle, infatti il si era l’unica nota che poteva essere alterata nell’esacordo molle, e per indicarla veniva posta davanti alla nota una b con una pancia rotonda. Per lo stesso motivo una b con una pancia quadrata indicava l’intervallo “duro” e per questo questo simbolo è detto bequadro. Dal bequadro nasce anche il diesis, parola che significa intervallo, ed è un bequadro con le linee prolungate, la netta distinzione tra bequadro e diesis avverrà solo qualche secolo dopo.
Nascita della notazione ritmica
A questo punto quindi manca ancora il ritmo. Un primo esempio di scrittura ritmica lo abbiamo nel 1200 con il trattato ars cantus mensurabilis di Francone da Colonia Che utilizza diverse teste di note per indicarne la durata.
Questo sistema detto Mensurale è però molto diverso da quello moderno. Le tre figure ritmiche sono la Maxima la longa e la breve e la semibreve, successivamente poi saranno aggiunte la minima la semiminima la fusa e la semifusa.

I rapporti delle durate non sono sempre uguali e dipendono dal maximodo e dal modo. Nel maximodo perfetto la massima equivale a tre longhe mentre in quello perfetto a due. Lo stesso vale per il modo ma prendendo come riferimento la longa.
Nel quattordicesimo secolo maximodo e modo scompaiono in favore del tempus e della prolatio. Ciò c’è cambia è il valore di riferimento: il tempus perfetto o imperfetto definisce il valore delle semibrevi, mentre la prolatio delle minime.

Tempo e prolatio venivano indicati con questi simboli: tempo perfetto e prolatio maggiore, tempo perfetto e proltio minore, tempo imperfetto e prolatio maggiore e tempo imperfetto e prolatio minore. Questi simboli potevano essere barrati ad indicare che il tempo era alla minima. Da questo deriva, anche oggi, la C o la C barrata che, in verità, non è una C ma un semicerchio.
In ogni caso, la scrittura continuava ad avere elementi precedenti, dunque esistevano diversi tipi di legature delle note e per vedere ogni nota separata dovremo aspettare il rinascimento, così come l’abbandono dei modi perfetti e imperfetti, verso un tipo di scrittura più simile a quella moderna.
Infatti, a questo punto il passo verso la notazione moderna è breve, basterà rendere tonde le note quadrate e aggiornare i simboli.
Nascita dei segni d'espressione
Non abbiamo ancora parlato però di tutti quei simboli che non definiscono l’altezza o la durata delle note ma servono come segni di espressione della Musica.
Pensiamo per esempio alle dinamiche, l’indicazione delle dinamiche è in verità molto recente, pare che la prima dinamica a comparire su un manoscritto sia quella di Vincenzo Capirola su un’intavolatura per liuto, ma parlerò in un altro articolo dell’intavolatura. Comunque sia, dal barocco in poi questi segni diventano sempre più precisi e sempre più usati, diventando fondamentali nel romanticismo.
Grazie all’editoria poi segni da sempre usati, ma con variazioni, come gli abbellimenti o accenti, vengono standardizzati e diventano chiari a tutti.
Notazione musicale moderna
Dunque, ora che siamo arrivati alla notazione che tutti noi conosciamo questo articolo potrebbe finire, se non fosse che l’evoluzione della notazione musicale non si è fermata qui. Infatti, con l’invenzione della musica elettronica nel 900 i compositori si sono dovuti inventare nuovi modi di scrivere la musica. A dire il vero però questi spartiti assomigliano molto di più a degli schemi e non utilizzano un codice completamente standardizzato. Infatti una parte fondamentale di queste partiture è proprio la legenda in cui il compositore spiega il significato di ogni simbolo.
In questo tipo di notazione abbiamo solitamente diverse linee, possiamo avere anche uno spartito classico nel caso in cui avremo bisogno di segnare le note e vari grafici sotto, uno per esempio potrebbe segnare l’inviluppo, un altro un effetto, un altro la modulazione delle frequenze e così via. Questo modo di scrivere rende lo spartito un’opera d’arte in sè perché sono chiaramente visibili le modulazioni nel tempo.

Ovviamente questa storia è molto semplificata e si concentra solamente sulla notazione occidentale perché nonostante la maggior parte delle culture del mondo abbiano oggi una tradizione orale o una tradizione scritta mutuata dal sistema occidentale, esistono però sistemi di notazione musicale diversi in culture diverse, soprattutto in quella asiatica.
Scritto da Stefano Vivaldini
Ogni brano musicale, sia esso classico o popolare, è composto secondo una struttura di partenza che chiamiamo "forma musicale". Oltre le forme trattate sotto, vi è la forma semplice chiamata Lied, ovvero quella di una canzone, prende infatti questo nome dalla lingua tedesca ed è strutturata in due o tre parti: A, A-A', AB o ABA dove B non presenta uno sviluppo ed è quindi una nuova sezione.

Nel 1600 in Italia nacque un nuovo genere teatrale e musicale: l'Opera, destinata ad occupare le stagioni teatrali e riunire, fino ad oggi, il popolo in un'unica sala. L'opera italiana nacque nelle corti, si spostò in teatro, cambiò la sua forma e divenne uno dei generi più amati e redditizi della storia della musica. Tra i più grandi capolavori abbiamo la Traviata di Verdi, Madama Butterfly, Boheme e Turandot di Puccini, Le nozze di Figaro e Così fan tutte di Mozart, Cavalleria rusticana di Mascagni, Il barbiere di Siviglia di Rossini ecc..

Nel panorama musicale del tardo barocco emerge la figura di un grande compositore: il tedesco Johann Sebastian Bach. Sebbene egli condusse una vita sedentaria ricomprendo sempre incarichi stabili presso le corti o istituzioni religiose, ebbe la capacità di introdurre nella sua musica le novità dell'atmosfera in evoluzione restando comunque legato alla propria tradizione tedesca.